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Progetto "Endorse: Train the trainer"

- © 2025 Asst Fatebenefratelli Sacco
14/10/2017

La nostra ASST ha convenzioni e collaborazioni con altre realtà ospedaliere in molte parti del mondo. Un esempio sono le Malattie Infettive Sacco che dal 2015 hanno dato il via ad un progetto in Africa “Endorse: Train the trainer”.

Abbiamo intervistato Giuliano Rizzardini, Direttore Malattie Infettive, che ci ha raccontato di cosa si tratta.

L’infettivologia del Fatebenefratelli-Sacco è attualmente coinvolta in un progetto in Africa. Di cosa si tratta? Qual è lo scopo di tale iniziativa?

Si tratta di un progetto finanziato dalla Comunità Europea, in particolare dal The European & Developing Countries Clinical Trials Partnership (ECDTP), che ha come scopo quello di implementare progetti di partenariato tra i paesi ricchi del Nord del mondo e i paesi poveri del Sud, in particolare nella lotta alle malattie infettive.
L’Ospedale Fatebenefratelli Sacco partecipa al progetto con la prima Divisione di Malattie infettive e con la Microbiologia Clinica diretta dalla Prof.ssa Maria Rita Gismondo, che è capofila del progetto. Il network del Nord del mondo è completato da un partner spagnolo (le malattie infettive dell’Hospital Ramón y Cajal di Madrid) e da un partner irlandese. In Africa i partners sono 9 ospedali/centri di salute del Nord Uganda che fanno capo all’Ospedale Universitario St Mary Lacor di Gulu.

Il progetto è denominato Endorse: Train the trainer. Si tratta di un corso che ha lo scopo di insegnare agli operatori locali il modo più corretto di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e della gestione dei campioni biologici potenzialmente infetti, in preparazione all'eventuale arrivo di casi di Ebola di Marburg o di altri virus emorragici, endemici in questa parte del mondo.

Nella prima fase del corso sono stati formati una ventina di operatori, che a loro volta avranno il compito di andare negli ospedali periferici, per preparare i loro omologhi.

Quando è iniziato?

Il progetto è partito all'inizio del 2015 è ha una durata prevista di due anni, si terminerà a dicembre di quest’anno.

Perché avete deciso di andare proprio in quella parte dell’Africa?

Per diversi motivi. Perché la cooperazione sanitaria italiana è presente in quella parte dell’Africa fin dai primi anni 60, perché dopo vent'anni di guerra civile quella è una delle parti più povere dell’Africa e perché la zona di Gulu è stata colpita nel 2000 da una delle più importanti epidemie di Ebola, che ha ucciso anche molti operatori sanitari dell’ospedale St Mary di Lacor, compreso il direttore Mattew Lukwiya.

Qual è stato un po’ più in dettaglio il vostro lavoro in Uganda?

Nella prima fase, svoltasi presso il St Mary di Lacor, abbiamo tenuto una serie di lezioni teoriche su Ebola e sugli altri virus emorragici e poi molteplici sessioni pratiche sul come utilizzare in modo ottimale i dispositivi di protezione individuale: guanti, mascherine, camici ecc. I microbiologi hanno dettagliato i passaggi per la gestione del materiale, potenzialmente infetto, dal momento in cui viene prelevato al momento in cui viene processato in laboratorio.

Nella seconda fase abbiamo “accompagnato” gli operatori, formati nella prima fase nel loro percorso d’insegnamento, dai colleghi degli otto ospedali/centri di salute “satelliti”. A fine anno dovrebbe esserci un convegno su questo con i partner europei e quelli africani a Kampala e il progetto verrà chiuso.

Questo progetto apre però alla possibilità di nuove application per bandi finanziati a livello europeo a cui potremo accedere più facilmente grazie alla creazione di questo importante network nord/sud, che nella sua prima esperienza ha già dato risultati estremamente positivi.

 

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