Giornata Mondiale del Servizio Sociale - 18 Marzo 2025

Il servizio sociale in ASST: oltre gli stereotipi
Quanti di noi hanno incontrato nella loro vita un’assistente sociale? Abbiamo veramente capito cosa fa? Di solito dicono che “porta via i bambini”, ma è davvero così? Si stima che in Italia siano circa 47.000… conosciamole meglio.
Lavorano per lo più in servizi pubblici e in ambiti diversissimi, sono principalmente donne e incarnano una delle professioni socialmente meno riconosciute nell’immaginario collettivo. Nonostante siano una colonna portante del welfare nazionale.
A cura di
AS Federica Alessandrini, AS Gaetana Mongiovì
Asst Fatebenefratelli Sacco Consultorio Familiare (Aldini, Accursio e Largo Volontari)
Sono tante, temute, ma anche apprezzate. Qualche volta. Più spesso, quando si nominano corre un brivido lungo la schiena.
Per alcuni sono “carnefici”, per altri “promotori di cittadinanza attiva”; in film e fiction sono “vecchie zitelle” in tailleur, valigetta e cuore di pietra, che agiscono solo il loro potere. Dalla stampa sono spesso citate a sproposito, con toni dispregiativi e accusate ingiustamente: di esserci troppo o di non esserci affatto, quando occorre. Portano via i bambini o danno soldi a chi è povero e reietto. Ma è davvero così?
Nella vita di tutti i giorni le assistenti sociali sono professioniste che lavorano in molti servizi, pubblici e privati: enti locali, strutture ospedaliere, servizi per le dipendenze, consultori familiari, servizi psichiatrici, carceri, uffici di servizio sociale per i minorenni (USSM), ufficio per l’esecuzione penale esterna (UEPE), tutela minori e famiglia, adozioni, affido familiare, RSA, in ambito accademico e di ricerca, e nel terzo settore.
Si scontrano quotidianamente con tagli sociali e politiche istituzionali, usando le scarse risorse che hanno a disposizione per garantire i diritti dei cittadini. Molte volte c’è l’aspettativa che il problema venga risolto subito: se non si ha la risposta giusta al momento giusto (secondo quello che sono le attese esterne) non sei una “brava professionista”, e così il rischio è quello di dimenticarsi che la complessità del percorso di aiuto è data dal lavoro con le persone: con l’essere umano.
Nel lavoro sociale non c’è la bacchetta magica. Ci sono mille imprevisti e così diventa tutto urgente anche quando di urgente non c’è nulla, rischiando di intervenire senza rispettare i giusti tempi di ascolto e di progettazione dell’intervento: il fattore tempo diviene, quindi, indispensabile.
Per fortuna nella sua cassetta degli attrezzi l’assistente sociale possiede: pazienza, creatività e innovazione, ma anche rapidità e flessibilità nel saper cambiare strategia per trovare soluzioni e gestire l’ansia, anche dei collaboratori.
In letteratura si trovano molte fonti che parlano della professione dell’assistente sociale, basata su principi, valori e modelli teorici di riferimento che guidano il processo di aiuto.
“Il servizio sociale dispone, come le altre professioni, di un corpo sistematico di conoscenze teoriche dalla duplice provenienza: conoscenze derivate dall’interpretazione e descrizione della realtà operativa fondata su processi osservativi e induttivi, ovvero la “teoria della pratica” e un sistema di conoscenze, la “teoria per la pratica”, che derivano dall’apporto che diverse impostazioni teoriche delle scienze sociale possono offrire al servizio sociale” (Dal Pra Ponticelli “Lineamenti di servizio sociale”, op. citata pg 79).
In Italia nasce a Milano intorno agli anni 20 a sostegno dei lavoratori, e con il convegno di Tremezzo nel 1946 si istituiscono le prime scuole di servizio sociale. E si inizia, così, a operare in maniera sempre più rilevante nel periodo post bellico, in cui il bisogno economico e assistenziale era molto alto, a causa della situazione di forte degrado sociale. Col tempo ci si è accorti che il mero assistenzialismo non è funzionale alla crescita delle persone.
Si è sviluppata, quindi, una parte clinica del lavoro sociale di fondamentale importanza, che ha permesso di operare in modo integrato anche con le altre professioni.
La valutazione sociale è un elemento cruciale e delicato per orientare e definire il percorso di aiuto, coinvolgendo la persona nella risoluzione del problema. In questo modo si agisce in un’ottica di empowerment, ossia “…un processo attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono un maggior controllo sulle questioni che li concernono…” (OMS 2006).
Questa è la mission del servizio sociale dell’ASST FatebenefratelliSacco (Milano).
Nel corso degli anni questo servizio è cresciuto e si è strutturato, e, ad oggi, sono presenti quarantasei assistenti sociali, che operano nei presidi ospedalieri (Buzzi, Fatebenefratelli, Sacco, Macedonio Melloni) e nei servizi territoriali (Consultori Familiari, CPS, Ser.D, NOA, Case di Comunità, Udo-ADI). Il gruppo è coordinato da una referente assistente sociale, che si occupa della gestione dei processi sociali e di continuità ospedale-territorio. La figura della referente assistente sociale facilita e media la comunicazione all’interno della ASST, e favorisce un lavoro di maggiore integrazione tra gli interventi del servizio sociale ospedaliero e dei servizi specialistici territoriali.
Nei servizi ospedalieri e territoriali accedono svariate tipologie di cittadini e ogni servizio, multidisciplinare, è specializzato nel trattare aree che rispondono a bisogni specifici.
Per una maggiore integrazione si svolgono gruppi di lavoro periodici (tra assistenti sociali) dove si parla lo stesso linguaggio ed è possibile confrontarsi, supportarsi, fare proposte e avere uno spazio di auto-formazione professionale e tecnico-metodologico. Ciò permette di migliorare e innovare i percorsi di aiuto che, quotidianamente, ci si trova a gestire.
Il lavoro di integrazione è l’incipit essenziale per promuovere il benessere delle persone. Questo richiede una costante ridefinizione del proprio operato (e messa in discussione), una riorganizzazione (non sempre facile, ma necessaria) e un proficuo lavoro di squadra.
L’assistente sociale è come un direttore d’orchestra: deve prestare orecchio, saper ascoltare, lasciar esprimere e poi indirizzare, affinché il lavoro di squadra consenta di raggiungere il giusto equilibrio. Detto ciò, è vero che si trova, in molte occasioni, a intervenire in modo doloroso e assertivo (pensiamo alle segnalazioni all’Autorità Giudiziaria o ai casi di allontanamento di minori dal proprio nucleo familiare), ma dobbiamo tenere a mente che il contesto in cui è inserita è molto complesso e articolato. L’incontro con l’altro è fatto di disagio e bisogni diversi a cui rispondere, in una società che cambia continuamente. Si deve destreggiare tra i vari mandati: professionale, istituzionale e sociale, ma l’obiettivo resta sempre quello di sostenere (la persona) e prevenire (il disagio sociale) anche quando ci sono molti ostacoli da superare. Ed è cosi che, ogni giorno, le assistenti sociali praticano il delicato lavoro sociale, a servizio dei cittadini.
“Il lavoro sociale inteso come arte, più che come scienza, è una questione che è andata un po’ perduta nel dibattito degli ultimi anni; l’arte, tuttavia, può servire a misurarsi con i problemi dell’incertezza e dell’ambiguità in modo più proficuo rispetto agli approcci tecnico relazionali”.
(Folgheraither, “Il servizio sociale post moderno” op. cit, pg.53).